In premessa, possiamo fare riferimento alle diverse letture date da due insigni psichiatri del secolo scorso che abbiamo già citato nel precedente articolo e precisamente Emil Kraepelin e Sigmund Freud.
Il primo riteneva che le malattie mentali fossero dipendenti dalla struttura biologica a sua volta correlata a meccanismi genetici, il secondo che i disturbi fossero dovuti a meccanismi “funzionali” dipendenti dalle esperienze vissute. Oggi tale dicotomia è stata superata, è ormai acclarato che strutture e funzioni sono in interazione reciproca.
Come afferma Eric Kandel (2008): “Nel cervello ci sono molti sistemi che interagiscono gli uni con gli altri, al fine di produrre l’azione integrata della mente.”
L’interazione struttura/funzione è un sistema dinamico dove ogni evento mentale è un processo cerebrale correlato all’attività di una serie di circuiti cerebrali che a loro volta subiscono modificazioni strutturali per gli input che ricevono dal mondo esterno.
Scrive Arnaldo Benini, professore emerito di Neurologia presso l’Università di Zurigo: “… la famiglia, l’ambiente, la scolarità, le condizioni sociopolitiche, le lingue che si imparano, le amicizie e le inimicizie, gli affetti, le riflessioni, le emozioni, e tutto quanto fa parte della vita modificano la struttura del cervello.”
La corteccia cerebrale è estremamente plastica e si modifica continuamente in relazione agli stimoli che riceve e continua a rimodellarsi per tutta la vita. Le esperienze modificano il cervello e il cervello modificandosi cambia i significati della propria esperienza e la modalità di interpretare l’ambiente.
A tal proposito, “Come si esprime un Disturbo mentale?”
Secondo il DSM, manuale psichiatrico adottato in tutto il mondo, oggi alla quinta edizione, il disturbo mentale è caratterizzato da un disagio o disabilità clinicamente significativa e dalla compromissione del funzionamento in uno o più ambiti tra cui quello lavorativo, scolastico, sociale, affettivo e famigliare. Ovviamente la compromissione può avere una diversa intensità e può interessare un singolo ambito esistenziale fino a determinare una totale disabilità.
E ancora: “Cosa accade nel nostro cervello quando si determina un disturbo mentale?”
Il Disturbo potrebbe essere correlato primariamente alla compromissione delle strutture neurobiologiche con i loro circuiti, sinapsi, neurotrasmettitori o potrebbe anche essere correlato primariamente a schemi disadattativi di apprendimento, a preconcetti, pregiudizi e narrazioni che confliggono con l’ambiente. Il termine “primariamente” non è usato a caso in quanto, come già evidenziato, un’alterazione biologica si ripercuote sul versante mentale, ma anche schemi mentali disfunzionali alterano il biologico in una interazione reciproca che obbliga ad una terapia integrata farmacologica e psicoterapica. Sul versante psicoterapico l’approccio è altrettanto complesso in quanto lo stesso presenta diverse modalità di intervento in relazione da un lato, alla complessità che caratterizza la modalità con cui si strutturano gli schemi, i pregiudizi e le narrazioni disfunzionali, dall’altro alla mancanza, in psicologia, di un corpus teorico unico e condiviso del modello funzionale della mente. Tuttavia, anche se in psicologia abbiamo diversi modelli di interpretazione del funzionamento mentale, l’uno non esclude l’altro, in quanto, è verosimile, che ogni modello legga il funzionamento mentale da una diversa prospettiva, focalizzando l’attenzione sulle diverse dimensioni dell’uomo e del suo vivere nel mondo: fisica (il corpo con le sue sensazioni e percezioni), emotiva (emozioni, sentimenti, umore), cognitiva (pensieri, convinzioni, pregiudizi, e narrazioni), comportamentale (azioni), interpersonale (relazioni con gli altri), spirituale (problematiche esistenziali). In tale contesto la disfunzione può inserirsi in una o più dimensioni e richiedere di conseguenza uno specifico approccio psicoterapeutico; tutto ciò dà significato all’esistenza di diversi modelli di psicoterapia quali, ad esempio, lo psicodinamico, il cognitivo, l’umanistico esistenziale e quello relazionale/familiare. La difficoltà operativa dello psichiatra quindi, non è solo quella di fare una diagnosi, ma è anche quella di comprendere quale dimensione è particolarmente disfunzionale per focalizzare il percorso terapeutico integrato; preso atto che, essendo la mente un sistema complesso, la disfunzione di una dimensione, nel tempo, potrebbe coinvolgere tutto il sistema determinandone il collasso, vale a dire la progressione del disturbo fino alla disabilità esistenziale.
11 Febbraio 2023, Prof. Rocco Antonio Zoccali
(Fonte: www.citynow.it)